domenica 7 aprile 2013

Il coraggio di essere altro. “‘Un pagamu – la tassa sulla paura”



Amantea, 6 aprile 2013 - La speranza nel cambiamento si può presentare davanti agli occhi in un uno dei primi pomeriggi in cui il sole primaverile  colora le gote e sembra ripagare dei tanti giorni di pioggia e freddo passati, facendosi garante dell’arrivo della bella stagione con la promessa, quando il sole sarà più cocente, di un ritorno alla vita con l’arrivo del turismo e dei tanti, distanti figli di questa terra, che la riabbracceranno dal mare al castello, tornando a guardarla con gli occhi fanciulli che l’avevano lasciata anche per colpa di un sistema clientelare che ne ha bloccato da sempre la crescita.
Quella che ci racconta il regista di Campora S.G. Claudio Metallo è in qualche modo una storia di cicli di vita interrotti dal malaffare e ripresi grazie alla solidarietà della gente, ma anche di una scelta chiara, quella di restare nella propria terra ed affrontare i propri aguzzini per creare qualcosa di nuovo, una rinascita in chiave etica e solidale della propria città.


In questo venerdì pomeriggio di inizio aprile la Guarimba Film Festival ha organizzato l’incontro col regista camporese per proiettare presso la sala del Consiglio Comunale il suo docu-corto “Un pagamu – la tassa sulla paura”, scritto in collaborazione con Nicola Grignani e Miko Meloni, sovvenzionato dall’Arci Pavia e dall’Osservatorio Antimafia e realizzato per la diffusione nelle scuole con il compito pedagogico di far vedere sullo schermo esempi di coraggio tra la gente comune e non soltanto i soliti eventi cruenti legati alla ‘ndrangheta.


‘Un pagamu narra le vicende di alcuni imprenditori di Lamezia Terme che hanno detto no al pizzo ed hanno formato l’associazione antiracket lametina. 
“Chiedere un’estorsione a un piccolo commerciante gli serve come monito per far capire alla gente e ai miei colleghi commercianti che qui comandano loro” e “chi paga il pizzo è responsabile del male di questa terra, chi paga il pizzo è responsabile della forza della ‘ndrangheta” sono le prime, incisive parole che pervadono la sala, mentre davanti agli occhi scorrono le immagini del lavoro di ogni giorno presso il gommista Gio’Godino, dove, il 24 ottobre 2006, l’atto intimidatorio di bruciare una fila di gomme sfociò nell’incendio di cui non rimase nulla dell’intero edificio in cui avevano sede l’azienda e gli appartamenti dove viveva la famiglia, racconta Daniele Godino, giovane imprenditore dalla faccia pulita, primo personaggio narrante di questo piccolo spaccato di vite. 

La sua storia si intreccia con altre, come il presidente dell’antiracket lametino Armando Caputo che ci spiega la creazione di un gruppo serio di persone decise a non piegarsi di fronte alle richieste dei clan e di come chi paga abbia dei vantaggi a livello di mercato, ma che, effettivamente, imbocca una via che non sa dove lo porterà ed anzi molte volte paga per puro tornaconto personale.  O come Salvatore “Cecè” Piacente che è tornato, dopo dieci anni, da Bologna a casa per aprire un’attività e che sottolinea come sia importante essere una rete unita per non rimanere da soli in questa scelta che comunque mette a rischio anche i propri familiari e amici.


“Una volta che ti pago tu mi comandi, divento un tuo schiavo, vieni in casa mia e fai quello che vuoi perché te l’ho permesso io […] però uno deve anche rischiare perché questo è il nostro ambiente e dobbiamo cercare di migliorarlo” è il messaggio di Francesco Palmieri, altro imprenditore che non ha voluto cedere alle molte intimidazioni mafiose.


Presenti nel documentario sono anche due simboli del cambiamento che Lamezia ha tentato anche a livello istituzionale. Il primo è il sindaco Gianni Speranza che illustra come sia importante aiutare con i fatti le persone, dalla presenza del Comune ai processi, allo sgravo fiscale di dieci anni sulle imposte comunali per chi non si allinea al boss di turno e di come due giorni dopo la sua elezione, in pieno giorno, abbiano bruciato il portone della sede del Consiglio Comunale, di cui ha preso le redini dopo due scioglimenti per infiltrazioni mafiose. L’altro è l’(ex)assessore alla cultura e fondatore dell’antiracket italiano, Tano Grasso , che disegna con una semplicità eclatante, ma molto efficace, quanto il pizzo sia una parte marginale e trascurabile dei guadagni mafiosi e perché sia importante per marcare il territorio: “l’estorsione è il luogo in cui il mafioso costruisce la sua identità, perché è il momento in cui un imprenditore, a volte anche grande, riconosce l’autorità mafiosa e compie la legittimazione”.

Si parla anche dello Spazio Aperto Giovani (poi chiuso per carenza fondi in questi tempi di crisi), una struttura confiscata alla ‘ndrangheta che, tra la diffidenza generale della gente al suo esordio, è riuscita a togliere dalle strade tanti ragazzi grazie ad attività come corsi di fotografia o disegno, sensibilizzando la cittadinanza e facendo “rete” fra le varie associazioni territoriali.


Ma il punto di luce sul breve affresco di Metallo arriva dalla testimonianza di Rocco Mangiardi, gestore di un piccolo autoricambi su Via del Progresso, colui che indica al processo il capoclan Pasquale Giampà, come la persona con cui era andato a discutere la “tariffa” da pagare, ed i suoi estorsori:  lo fa anche grazie all’incoraggiamento datogli dalla presenza dei membri dell’associazione dei commercianti puliti presenti in aula e del comune, ma, soprattutto, perché altrimenti avrebbe disatteso tutto ciò che aveva insegnato ai figli. Il suo gesto ha invece mostrato una via diversa a una cittadinanza intera, quella del coraggio.


“Mai pensato di scappare. Perché devi scappare di fronte a questo fenomeno? Scappi tu, ma il fenomeno rimane.”  Sono le parole che concludono il corto, espresse, come in avvio, sempre da Godino, la cui vicenda di fine e rinascita è l’effettivo collante della storia, guidata dalla sua voce a più riprese.  

La proiezione è stata nobilitata dalla presenza dello stesso Daniele Godino, che, arrivato nel finale, si è intrattenuto assieme al regista Claudio Metallo (invitato dalla Guarimba ad essere uno dei giurati del festival estivo) e al promotore dell’evento Giulio Vita in un dibattito aperto col pubblico, sostenendo a più riprese la possibilità di eliminare il fenomeno mafioso con un cambiamento radicale della nostra forma mentis. Sottolineando come sia necessario smettere di pagare “la tassa sulla paura” per estirpare questa malerba che ha infestato e infesta tutt’ora ogni cosa su cui mette mano, perché questo è un momento in cui lo stato ha aiutato molto, azzerando gran parte dei vertici criminali in varie zone calabresi, tra cui la nostra e la sua. La realtà dei fatti, ammette con rammarico ma non sfiduciato, continua a far si che la paura e il giro di affari facciano versare una quota ancora a troppi, anche dal carcere, e che troppo pochi denuncino i propri taglieggiatori. Il vero problema è che chi si espone, molte volte, si ritrova da solo nel suo percorso e viene esautorato dalla scena economica locale. Il primo passo per curarci è ammettere il nostro male e città come Cosenza e Catanzaro che dovrebbero tracciare la strada, non hanno formato un’associazione antiracket e, addirittura, vi si nega l’esistenza del fenomeno. Ma può darsi che i tempi della società civile non siano ancora maturi ovunque allo stesso modo. 

Alla fine del dibattito Daniele si ferma a scambiare due parole con chi si avvicina e stringe cordialmente le mani. Sua figlia che nel cortometraggio aveva due anni ed era in braccio alla madre, ora ne ha quattro e scorrazza intorno alla sala felice, tornandogli puntualmente vicino a cercare una carezza per tutto il dibattito. Il padre gliela concede in maniera affettuosa, come ogni padre che vuol bene ai suoi figli. Vorrebbe solo che crescessero in una Calabria diversa e per questo si impegna nel suo immenso piccolo a cambiare le cose. 


Che il coraggio di questo ragazzo fatto di carne ed ossa, possa essere d’esempio ai più: è questo l’auspicio. Lui che con la sua storia personale e il suo volto pulito, è il simbolo di ciò che il sud potrebbe divenire se finisse di essere fatalista e codardo nei confronti dei disonesti e rinascesse altro.

Daniele Aloe

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